Alessandro in Sidone (Zeno e Pariati), Vienna, van Ghelen, 1721

 ATTO QUINTO
 
 Sala.
 
 SCENA PRIMA
 
 IPPARCHIA e CRATE
 
 IPPARCHIA
 Deh! Trattienti per poco.
 CRATE
 Io cerco Nilo. Egli ha il mio pallio; ed io
 darei per lui quanto ha di donne il mondo.
 IPPARCHIA
1560Lo spogliasti però per una sola.
 CRATE
 Oh! La maestra. Vieni;
 e al rimprovero aggiungi anche le busse.
 IPPARCHIA
 Scusa il zel di tua fama.
 CRATE
 Sei tu l’aia di Crate?
 IPPARCHIA
1565Per trar me di tormento e te di noia,
 dammi un rimedio, onde il mio amor sia vinto.
 CRATE
 Eccone tre, la fame, il tempo e un laccio;
 e l’ultimo di questi è il più sicuro.
 IPPARCHIA
 A chi vive per te, morte consigli?
 CRATE
1570(È importuna ma bella).
 Di Fenicia un rifiuto amar potresti?
 IPPARCHIA
 Anzi fassi mia speme il tuo rifiuto.
 CRATE
 Né spense le tue fiamme il mio rigore?
 IPPARCHIA
 Eh! Crate, in chi ben ama,
1575rigore, anzi che fren, sprone è al desire.
 CRATE
 (Costei val ben Fenicia). Attendi. Io riedo.
 (Bisogna ch’io sia bel più che non credo). (Parte)
 
 SCENA II
 
 EFESTIONE ed IPPARCHIA
 
 EFESTIONE
 Ipparchia, a te sinora
 qual amante parlai; so ch’è più forte
1580il linguaggio di sposo...
 IPPARCHIA
 Perdonami. A lo sposo
 risponderò, come a l’amante. Onoro
 offerta sì gentil ma non l’accetto.
 Crate nel cor d’Ipparchia è sempre Crate.
 EFESTIONE
1585Anche quando egli è oggetto al comun riso?
 IPPARCHIA
 Scherno d’altrui non toglie al bel suoi pregi.
 EFESTIONE
 Al bel? Laido e deforme ognuno il dice.
 IPPARCHIA
 Sì, ma con gli occhi miei nessun lo guarda.
 EFESTIONE
 Come assolver potrai la sua fiacchezza?
 IPPARCHIA
1590Che? L’esser ingannato è forse colpa?
 EFESTIONE
 Colpa, e grande in uom saggio.
 IPPARCHIA
 Più soggetto a le frodi è il più sincero.
 EFESTIONE
 Tu ben lo scusi.
 IPPARCHIA
                               Io l’amo.
 EFESTIONE
 Mia offesa e tua vergogna è un vil rivale.
 IPPARCHIA
1595Efestione, io l’amo.
 EFESTIONE
 Nol fa degno d’Ipparchia un cieco amore.
 IPPARCHIA
 Più discreto al bel sesso
 io ti credea. Se l’amor mio ti offende,
 del destin, non di me, lagnar ti puoi.
 EFESTIONE
1600Sento, più che i miei torti, i rischi tuoi. (Efestione partendo s’incontra in Crate che lo ferma)
 
 SCENA III
 
 CRATE da filosofo, NILO e i suddetti
 
 CRATE
 Trattienti, Efestione.
 NILO
 Qui di mia libertà conferma il dono. (A Crate)
 CRATE
 Sì, libero tu sei.
 NILO
                                Libero io sono. (Saltando per allegrezza)
 CRATE
 Odi; me tuo rival non fa il mio amore
1605ma quel d’Ipparchia. Essa mi vuol. Tu puoi
 trarmi da un tale intrico. Parla. Prega.
 Di’ tutto il mal di me. Sarò contento,
 s’io me ne sbrigherò.
 NILO
                                         Bel complimento! (Ad Ipparchia)
 EFESTIONE
 Udisti? È tempo omai che a me ti doni,
1610se non la mia costanza, il suo disprezzo.
 IPPARCHIA
 Non si cura costanza in chi non si ama;
 e da chi si ama, anche il disprezzo è caro.
 EFESTIONE
 In me, che tu non ami,
 il favor di Alessandro amar ti giovi.
 IPPARCHIA
1615Io quel favore e te, che il merti, onoro.
 CRATE
 E in me, che tu ami troppo,
 di Alessandro lo scherno odiar dovresti.
 IPPARCHIA
 De la sciagura tua tu il reo non sei.
 NILO
 A tuo dispetto ancor ti vuol colei. (A Crate)
 EFESTIONE
1620Grandezze e onori io t’offro.
 IPPARCHIA
 Lubrici son de la fortuna i doni.
 CRATE
 Miseria e povertà sol darti io posso.
 IPPARCHIA
 Condimento di lor fia il viver teco.
 NILO
 (Adesso si può dir che amore è cieco).
1625La vuoi finir? Di’ che sarai geloso. (A Crate)
 CRATE
 Di te sarò geloso. Or che rispondi?
 IPPARCHIA
 Argomento d’amore è gelosia.
 NILO
 Vincer la vuoi? Di’ ch’ella andrà in carrozza. (Ad Efestione)
 EFESTIONE
 Agi, pompe e delizie avrai, mia sposa.
 IPPARCHIA
1630Superba esser potrei ma non felice.
 CRATE
 E mia, stenti e disagi.
 IPPARCHIA
 Dal mio amor, per soffrirli, avrò soccorso.
 NILO
 Ella ti vuol, s’anche tu fossi un orso. (A Crate)
 CRATE
 Or senti, Ipparchia; io sono
1635superbo ed arrogante.
 NILO
                                           È vero, è vero.
 CRATE
 Compiacenza non ho.
 NILO
                                          Né men creanza.
 CRATE
 Carezze non so far.
 NILO
                                     Mal per la sposa.
 CRATE
 Un legno, un pallio, un sacco è quanto ho al mondo.
 Son questi i cocchi miei, questi i miei servi. (Mostra le gambe e le braccia)
1640Mio tetto è il cielo. È letto mio la terra;
 e un continuo digiun fa la mia mensa.
 Or di’, per viver meco hai tu coraggio?
 EFESTIONE
 Sposo e nozze vorrai di simil fatta?
 NILO
 Ah! Per Giunon, se tu la fai, sei matta. (Ad Ipparchia)
 IPPARCHIA
1645Poiché in Crate non trovo
 che miseria, disagio e povertate...
 Efestion... perdona. Io voglio Crate.
 EFESTIONE
 Lui che rozzo e incivile...
 IPPARCHIA
 Sia rozzo, sia incivil. Crate amar deggio.
 CRATE
1650(Cresce il mio amor). Tu vedi. (Ad Efestione)
 NILO
 (Io lo sapea. Si appiglian sempre al peggio).
 EFESTIONE
 Crate che brutto e vile...
 CRATE
 Adagio, Efestion. Tanto non dissi.
 IPPARCHIA
 Brutto e vil? Tale ei sia. Voglio il mio Crate.
 CRATE
1655(Moro di amor). Tu senti. Essa mi vuole. (Ad Efestione)
 Che posso far? Non più. Te voglio anch’io.
 IPPARCHIA
 Cieli! Sperar mi lice un sì gran bene?
 CRATE
 Filosoficamente io te ne accerto. (Si porgono le destre)
 IPPARCHIA
 O destra sospirata! O amabil dono!
 CRATE
1660Così tu sei mia moglie, io tuo marito.
 NILO
 (Filosoficamente egli è impazzito). (Parte Nilo)
 IPPARCHIA
 
    Sei più bello. Il veggo. Il so. (Ipparchia guarda attentamente ora Efestione, ora Crate)
 Ma che pro?
 Per amar, consiglio agli occhi
1665non dimanda sempre un cor.
 
    Senz’aver da loro il passo,
 se in un petto vuol ricetto,
 altre strade si apre amor.
 
 SCENA IV
 
 EFESTIONE e CRATE
 
 EFESTIONE
 Ipparchia sconsigliata!
 CRATE
1670Efestione, a Giuno e ad Imeneo,
 quale a Nettun chi già dal mar salvossi,
 grato esser dei. Da un gran periglio uscisti.
 EFESTIONE
 In quel critico labbro
 veggo il cinico dente e veggo il morso;
1675ma quel non temo e questo io sprezzo. Altera
 vada colei del torto mio. Faranno,
 il suo tardo rimorso
 e il pentimento suo, la mia vendetta. (Parte Efestione)
 
 SCENA V
 
 ARISTIPPO e CRATE
 
 ARISTIPPO
 Crate, che avea in orrore
1680degli uomini la vista, in corte io trovo?
 CRATE
 Qui forse ne vedrò, meno che altrove.
 ARISTIPPO
 Vedi però Aristippo.
 CRATE
 Ma un uom non già. Sol veggo
 di regnante e di servo una chimera.
 ARISTIPPO
1685Sì, mordi. E in Crate io miro
 di satiro e di sposo un ircocervo.
 CRATE
 Un regno io non volea, volea una sposa.
 ARISTIPPO
 E questa ov’è?
 CRATE
                              N’ebbi la fé poc’anzi.
 ARISTIPPO
 Fu di Creta o di Chio quel che bevesti?
 CRATE
1690Per l’Ercole di Tebe a te lo giuro...
 ARISTIPPO
 Come esser può? Fenicia...
 CRATE
 Altra donna non v’è? D’Ipparchia i’ parlo.
 ARISTIPPO
 Ipparchia sposa tua? Crate marito?
 CRATE
 Più che Aristippo re.
 ARISTIPPO
                                         Sempre tu pungi.
1695Dimmi, sempre nemici esser vorremo?
 CRATE
 Qual vasaio ama l’altro?
 ARISTIPPO
 Vergogna! Siam fanciulli
 o filosofi siamo? Attenderemo
 che un saccente importuno
1700con le tazze a la man noi metta in pace?
 No, per Mercurio. Prendi. Io primo offeso,
 di Crate a l’amistà rendo la mia. (Si porgono la mano)
 CRATE
 Va’. Di me sei migliore. Io de lo sdegno
 e de l’amor fra noi l’autor tu sei.
 ARISTIPPO
1705Arrida ne la moglie a te la sorte.
 CRATE
 E a te conceda il ciel ventura in corte.
 
    Due contenti e due tormenti
 esser ponno moglie e corte.
 Se son buone, o dolce sorte!
1710Se malvage, o amare doglie!
 
    Ma coraggio. Un buon regnante
 la sua corte a sé fa uguale;
 e un marito, che sia tale,
 può far buona ancor la moglie.
 
 SCENA VI
 
 ALESSANDRO con seguito ed ARISTIPPO
 
 ALESSANDRO
1715Saprò... Ma qui Aristippo?
 ARISTIPPO
 Sì, per veder qual saggio inalzi al soglio.
 ALESSANDRO
 Ah! In esso un traditore
 mi mostrò la mia sorte e l’altrui fede.
 ARISTIPPO
 Vassalla di Alessandro è la fortuna.
1720Ma il fedele chi fu?
 ALESSANDRO
                                      Sé non palesa.
 ARISTIPPO
 Certa è del reo la colpa?
 ALESSANDRO
 Non ha, fuorch’il silenzio, altra difesa.
 ARISTIPPO
 Al premio si nasconde un sì gran merto? (In atto pensoso)
 Tace un reo già convinto?
1725Re, so ch’io parlo a un grande
 che del mondo a l’impero il ciel destina
 e che regger ne può col senno il peso;
 pur mi ascolta. La colpa e l’innocenza
 cambiano ben sovente abito e volto.
1730Sotto manto di agnello
 fiera tigre si cela o lupo ingordo.
 E chi crede a le penne,
 le colombe condanna e i corbi assolve.
 Credimi. Scaltra frode o ria sciagura
1735spesso fa gl’innocenti e spesso i rei.
 ALESSANDRO
 Ben parli; e senza il fasto
 saggio saresti e già saresti in trono.
 ARISTIPPO
 Quando il trono io cercai,
 mi proposi un piacer. Dacché il perdei,
1740ne la mia pace un piacer nuovo io godo.
 ALESSANDRO
 Né ti vien pentimento...
 ARISTIPPO
 Il pentirsi è dolore.
 Solo ciò ch’è piacer, piace al mio core.
 
    Fra la calma e la tempesta
1745sciocco è ben chi pena in questa,
 quando in quella ei può goder.
 
    E col folle si consiglia
 chi mal sceglie e mal si appiglia
 fra il dolore e fra il piacer.
 
 SCENA VII
 
 FENICIA e ALESSANDRO
 
 FENICIA
1750Re, disio di giovarti a te mi guida.
 ALESSANDRO
 Lodevole disio, cui molto io deggio.
 FENICIA
 Dimmi, pria che altro esponga,
 è infamia in cor di re la sconoscenza?
 ALESSANDRO
 Più che in altrui, che spesso in uom privato
1755l’impotenza è discolpa;
 ma il re sol per sua colpa esser può ingrato.
 FENICIA
 A chi di morte ti togliesse al rischio,
 dovresti assai?
 ALESSANDRO
                              Divider seco il regno
 non fora al beneficio egual mercede.
 FENICIA
1760Ben ragioni, o signor; ma assai diverso
 è dal dire l’oprar.
 ALESSANDRO
                                   Di che mi accusi?
 FENICIA
 E d’ingrato e d’ingiusto.
 ALESSANDRO
 Colpe tu mi rinfacci
 ch’io non conosco. Parla.
 FENICIA
1765Poc’anzi in mortal rischio eran tuoi giorni.
 Già correvi a perir. Ti arresta un foglio
 su l’orlo al precipizio; e tu in mercede
 fai chi ti scrisse ora languir fra’ ceppi;
 e in breve ancora a lui minacci il ferro.
 ALESSANDRO
1770lo ferro? Io ceppi a chi mi scrisse? Oh! Noto
 mi fosse il fido!
 FENICIA
                                E s’egli
 Addolonimo fosse?
 ALESSANDRO
 Addolonimo è un empio...
 FENICIA
 Io ti rendo ragion di sua innocenza.
 ALESSANDRO
1775Ciò che udii, ciò che vidi
 vorrai smentir?
 FENICIA
                                La fede
 ricusa al ver, chi a l’apparenza crede.
 ALESSANDRO
 Non si ascose il fellon per darmi morte?
 FENICIA
 Morte a te dar volea chi scrisse il foglio?
1780Sì. Addolonimo scrisse. Il foglio impresso
 sta di sue note. Egli innocente e fido...
 ALESSANDRO
 Chi è fedel, chi è innocente
 non si asconde, non tace,
 non si lascia qual reo stringer fra’ ceppi.
 FENICIA
1785Del suo silenzio la ragion non vedi;
 ma vedi l’opra, onde sei salvo. In cosa
 di sì facil confronto
 dirti il falso oserei?
 Se ’l pensi, qual già ingrato, ingiusto or sei.
 ALESSANDRO
1790Olà. Venga Addolonimo. Fenicia,
 so tua virtù. Pavento
 che tu ingannata sia, non che m’inganni.
 FENICIA
 Ingannata? Da chi?
 ALESSANDRO
                                       Forse... dal core.
 Forse più che ragion... parla in te amore.
 FENICIA
 
1795   Non rispondo, non confondo
 la ragione con l’amor.
 
    Dir non vo’ s’ami o non ami.
 Ma difendo l’innocente
 e non amo il traditor.
 
 SCENA VIII
 
 EFESTIONE e li suddetti
 
 ALESSANDRO
1800Sempre giugne opportuno un fido amico.
 EFESTIONE
 Addolonimo è reo. Nel suo persiste
 contumace silenzio.
 ALESSANDRO
 Dubbia fan nuovi indici
 sua colpa e sua innocenza. Io qui l’attendo.
 EFESTIONE
1805Ei vien.
 FENICIA
                  (Fra tema e spene il cor sospendo).
 
 SCENA IX
 
 ADDOLONIMO fra guardie e li suddetti
 
 ALESSANDRO
 Taccia Fenicia. Tu rispondi e avverti
 che non t’esca menzogna.
 ADDOLONIMO
 Se menzogner mi trovi,
 credimi traditore.
1810In chi ’l labbro è bugiardo, iniquo è ’l core.
 ALESSANDRO
 Questo foglio conosci?
 ADDOLONIMO
 (Ah, Fenicia!) Nol niego.
 ALESSANDRO
 Sai chi lo scrisse?
 ADDOLONIMO
                                   Il so.
 ALESSANDRO
                                               Quelli, che e’ chiude
 non lievi arcani, a te son noti?
 ADDOLONIMO
                                                         Il sono.
 ALESSANDRO
1815Ma come e donde e quanto sai, mi svela.
 ADDOLONIMO
 Più di quel che già sai, nulla dir posso.
 Morte ti minacciava. Era vicina
 l’ora, il luogo opportuno e certo il colpo.
 Mi si affida la trama,
1820ne sento orror. Cerco impedirla e scrivo.
 Per uomo ignoto invio la carta. Al varco
 periglioso da lunge
 volger ti miro sconsigliato il piede.
 Tremo per te. Credo smarrito il foglio.
1825Mi ascondo a tua salvezza. Ivi sorpreso
 mi pensi traditor. Taccio. Il sopporto;
 e la sola innocenza è mio conforto.
 
    Non si crede sventurato
 chi vantar può sua innocenza.
 
1830   È infelice in apparenza
 ma in sé stesso egli è beato.
 
    Chi vantar può sua innocenza
 non si crede sventurato.
 
 FENICIA
 Qual dubbio a te più resta? Il ver diss’io.
 ALESSANDRO
1835Maraviglia, pietà, rimorso, orrore,
 ira, dolor, tutto mi assale a un punto.
 EFESTIONE
 Come umano giudicio erra sovente,
 male credendo il ben, reo l’innocente!
 ALESSANDRO
 Ma con merto sì illustre
1840perché tacer? Perché celarti al premio?
 ADDOLONIMO
 Premio non cerca alma che adempie il giusto.
 ALESSANDRO
 Perché esporti ad infamia, a ceppi, a morte?
 ADDOLONIMO
 Ciò che teme un cor retto, è sol la colpa.
 ALESSANDRO
 Cresca il mio disinganno e la tua fede.
1845Svelami il traditor.
 ADDOLONIMO
                                      Sire, da questa
 legge, ten priego, il mio dovere assolvi.
 ALESSANDRO
 Col tuo silenzio il frutto
 perdi de l’opra. Io sono in rischio ancora.
 ADDOLONIMO
 A la vita d’un re vegliano i numi;
1850e il ciel, che ti salvò, saprà salvarti.
 ALESSANDRO
 Qual sì stretto dover ti unisce a l’empio?
 ADDOLONIMO
 Per te mi fe’ già tema il suo delitto;
 mi spaventa or per lui la tua vendetta.
 ALESSANDRO
 Fenicia abbia il trionfo
1855di quel cor pertinace.
 FENICIA
 Parlando, l’odierei. L’amo, se tace.
 ALESSANDRO
 Anche a te caro il reo?
 FENICIA
                                           Caro o nemico,
 da questo sen non ne uscirà l’arcano.
 EFESTIONE
 Potrà, se vuol...
 ALESSANDRO
                               No, non sia ver ch’io voglia.
1860Tirannico potere usi la forza,
 non Alessandro. Ei sia più grato e giusto.
 Due gran beni a voi deggio, e vita e fama.
 Ecco il primo ch’io dono,
 premio al vostro bel cor, del reo la vita
1865e, agli alti numi il giuro, il suo perdono.
 FENICIA
 Or che la tua mi affida
 regal pietade e tua mercé, da questa
 alma ogni affanno, ogni timor si esiglia,
 dirò...
 
 SCENA X
 
 STRATONE e li suddetti
 
 STRATONE
               Parli Straton. Taccia chi è figlia.
1870Addolonimo reo
 d’altro fallo non è che di un gran colpo,
 ricusato al suo braccio e tolto al mio.
 Cerchi il nemico tuo? Quello son io.
 ALESSANDRO
 Stratone il reo, l’iniquo?
 FENICIA
1875Signor, di tua virtù, deh! non pentirti.
 ADDOLONIMO
 Premio de la mia fede è quella vita.
 ALESSANDRO
 Te sapea mio nemico,
 non già mio traditore.
 STRATONE
 Tradimento non è l’odio ch’è giusto.
 ALESSANDRO
1880Efestion, m’ascolta. (Parla piano ad Efestione che poi parte)
 FENICIA
 Frena, o padre, un furor ch’è tuo periglio. (Alessandro resta in atto pensoso)
 
 SCENA ULTIMA
 
 ARISTIPPO e poi CRATE, IPPARCHIA, ARGENE, CALANDRA, NILO e li suddetti
 
 ARISTIPPO
 Alessandro, a Stratone
 molto degg’io... Signor... Non mi ode? Intendo. (Aristippo si prostra a’ piedi di Alessandro)
 Signor, viva Stratone. Io qui ten priego.
 CRATE
1885Tu, Aristippo, prostrato ad un altr’uomo?
 ARISTIPPO
 Si, Crate. Di un regnante,
 che gli orecchi ha nei piedi, ai piedi io parlo.
 IPPARCHIA
 Crate, per l’infelice il re si prieghi.
 CRATE
 Viltà. (Ad Aristippo) Viva Addolonimo. (Ad Alessandro) Quel reo
1890si doni al suo maestro.
 Un filosofo a un re così favella. (Ad Aristippo)
 NILO
 E al filosofo il re così risponde.
 ADDOLONIMO
 (Che mai pensa Alessandro?)
 FENICIA
 (Pietade, o numi!)
 EFESTIONE
                                     Ecco le regie insegne. (Ritorna Efestione, facendo portare l’insegne reali)
 ALESSANDRO
1895Prevenne i vostri voti
 la clemenza e il dover. Vivrà Stratone,
 del suo fallo al rimorso, ed in quel saggio, (Accennando Addolonimo)
 di sua virtù al piacere,
 vivrà quel re ch’oggi promisi al soglio.
 FENICIA
1900Fortunata virtù!
 ADDOLONIMO
                                 Regia clemenza! (È vestito Addolonimo col manto reale)
 ARGENE
 Teco, Fenicia, io godo e teco, o padre.
 CALANDRA
 Crate è d’Ipparchia; or Nilo esser può mio. (A Nilo)
 NILO
 Di Crate le pazzie far non degg’io.
 CRATE
 Mia moglie, in Grecia andremo. (Ad Ipparchia)
 EFESTIONE
1905E andrai con chi non ti ama?
 IPPARCHIA
 Sempre sa farsi amar la saggia moglie.
 ALESSANDRO
 Vieni. Sidoni, ecco il re vostro. (Mettendo il diadema in capo ad Addolonimo)
 ARISTIPPO
                                                           Io primo
 la maestà del regio grado onoro.
 CRATE
 (Che adulator!)
 ALESSANDRO
                                Fenicia, ecco il tuo sposo.
 ARGENE
1910Sorte ch’io non invidio a la tua destra. (A Fenicia)
 FENICIA
 Manca del padre il voto.
 STRATONE
 Nel voler di Alessandro
 m’inchino al mio destin. Sposo più illustre
 bramar non puoi né re migliore il trono.
 FENICIA, ADDOLONIMO
1915Regnando col mio ben felice io sono.
 ALESSANDRO
 Miei fidi, il primo sole
 noi non vegga in Sidone. Altre conquiste
 chiamano il mio valor. Tu lieto vivi; (Ad Addolonimo)
 e vivi amico mio. Popoli, amate
1920la fortuna di voi nel vostro omaggio.
 Fa beati i vassalli un re ch’è saggio.
 TUTTI
 Fa beati i vassalli un re ch’è saggio.
 
    Vero saggio e saggio re
 mai non è né mai sarà
1925chi è vassallo del piacer
 e il suo cor non sa frenar.
 
    L’innocenza e la bontà
 fa il gran vanto del saper
 e il bel merto di regnar.
 
 Il fine
 
 Segue il ballo de’ guerrieri macedoni.